Anche quest'anno i centottanta minuti del derby sono passati. Felici i laziali per i due risultati utili su tre conquistati, un po' meno contenti i romanisti che avrebbero voluto almeno una vittoria. Invece è stato 0-0, dopo una gara non eccessivamente bella né intensa. A mio avviso, non si è assistito ad una brutta partita, ma è vero, non si può neanche dire che sia stato un derby memorabile. Purtroppo sono da rilevare le solite polemiche becere, in un calcio che ormai non si accontenta più soltanto di denigrare l'avversario, ma fa dello scontro di civiltà alla casereccia il suo leit motiv.
Come tristemente accade da qualche tempo a questa parte, fuori dell'Olimpico ci sono stati un paio di accoltellamenti, anche se di lieve entità. Fin qui, la miccia. La carica l'ha piazzata il prefetto Achille Serra, che dopo la partita ha parlato di un derby tranquillo. Via con il balletto dello sdegno ipocrita dalle altre parti d'Italia: si è andati dalla "normale" inciviltà dei romani alla disperata invocazione delle dimissioni di Serra, reo di aver minimizzato l'accaduto. Personalmente, non ce la faccio a schierarmi con il prefetto di Roma. Resta pur sempre un tutore dell'ordine, uno pronto a dire tutto e il contrario di tutto per difendere l'operato suo e della celere. Però non posso nemmeno unirmi al coro unanime dei benpensanti, che ricordano quei pazzi che girano in tondo durante l'ora d'aria al manicomio perché qualcuno gli ha detto che bisogna farlo. E' vero, queste storie di "lame" e "puncicate" hanno oltrepassato la misura. Non si potrebbe negarlo neanche volendo. Io sono uno di quei vecchi nostalgici che vorrebbe sì un calcio sereno per famiglie, ma che, di fronte al caos odierno, quasi rimpiange le mazzate a mani nude di una volta tra tifoserie cosiddette nemiche. Due schiaffi, un calcione, quattro insulti e fughe alla spicciolata; si ripeteva un rito pluriennale, violento e prevedibile. Oggi abbiamo curve contrapposte che fanno fronte comune davanti alla polizia, e ragazzini armati di coltello che ti spuntano all'improvviso da dietro e ti pungono culo e gambe - quando va bene - come se nulla fosse. E' decisamente deplorevole, specie se si pensa che questi episodi all'arma bianca si verificano in massima parte a Roma, con protagonisti i giallorossi. Comincio a sopportare poco anche la retorica oramai vieta e insensata che recita ad ogni occasione che gli accoltellatori "non sono veri tifosi, ma un branco di delinquenti". Sul fatto che siano delinquenti, niente da obiettare. Sul fatto che non siano tifosi, qualche parolina dovremmo spenderla, se è vero come è vero che proprio questi delinquenti poi vanno puntualmente allo stadio, trasferte comprese. Qualcuno dirà che ci vanno solo con l'intenzione di far male, ma non si può davvero pensare di nasconderne l'appartenenza calcistica. Quindi, mea culpa. Ma non basta.
Non basta perché chi accusa molto spesso non è in grado di insegnare niente, sia che si tratti di commentatori televisivi che urlano e schiamazzano come oche da cortile, sia che si tratti di semplici tifosi di altre città sprovvisti di serie argomentazioni. Torniamo alle spiegazioni rilassate del prefetto Serra e alle reazioni inorridite della brava gente. Non entro nel vissuto privato perché non lo conosco e perché dovrei dilungarmi troppo su ciò che penso di certi soggetti. Tuttavia, vorrei sapere che razza di individui sono questi, che riescono a prendersela perfino con un funzionario di alto livello pur di sottolineare con la penna rossa gli avvenimenti romani. Sono gli stessi che parlano di tifoserie civili al Nord, scordandosi casualmente di petardi internazionali, motorini nazionali e razzismi vari. Sono gli stessi che vogliono leggi ferree, poliziotti a iosa, controlli capillari e stadi ultrasicuri, e poi si scagliano contro prefetti, questori e governi che impongono misure di sicurezza. Sono gli stessi che osannano il modello inglese con relativa calma apparente e restrizioni da lager, e poi non vogliono provvedimenti che attentano alla loro libertà di cittadini onesti. Sono gli stessi che dopo la morte di Raciti hanno indossato idealmente scudo e manganello, e poi hanno difeso gli hooligans mancuniani a Roma attaccando la brutalità della polizia italiana. Insomma, sono quelli del pugno duro e della galera a vita, per tutti tranne che per loro e per i tifosi vicini: chiacchieroni e cialtroni da mercatino delle pulci.
Il prefetto Serra, come detto, non ha il mio appoggio incondizionato, tuttavia non è possibile contestare i lati buoni del suo lavoro. Instaurare un clima che non è di complicità ma guarda al concreto, cioè ai fatti veramente gravi, e non crea inutili allarmismi è encomiabile. Dei prefetti e dei questori delle altre città si sa poco e niente; dei responsabili della sicurezza in alcuni stadi a rischio non si conoscono né il nome né i metodi, fatte salve le dichiarazioni di facciata in concomitanza di accadimenti luttuosi. Serra, com'è giusto che sia, ci mette sempre la faccia, convoca conferenze stampa, fornisce spiegazioni. Conosce il mondo degli ultras e da guardia navigata quale è, sa distinguere i gradi di tensione, i livelli dello scontro, il pericoloso dall'ordinario. Poi sappiamo tutti che i sistemi dei celerini non sono né civili né ortodossi, ma è un altro discorso.
Non avrei mai pensato di poter scrivere cose come queste, eppure mi viene spontaneo quando osservo le bestialità di Mediaset che dopo il derby non parla della gara ma degli incidenti, quando vedo le file di pecore che non aspettano nient'altro che di poter levare il loro belato irritante verso la capitale, quando ascolto le piccole menti piagnucolare come bambini dell'asilo che incolpano i compagni. E forse sono proprio bambini, visto che parlano di stadio ma se ne stanno in poltrona a guardare la tv, pensando di conoscere gli ultras perché hanno un conoscente che va ogni tanto in curva. Tutte le domeniche (o i sabati o i mercoledì...), succede qualcosa fuori e dentro gli impianti sportivi. A volte se ne parla perché fa comodo, perché se si gioca un derby noioso allora meglio creare un caso e buttarsi sulla finta cronaca nera. Roma-Lazio fa rumore, anche perché si porta dietro lo psicodramma collettivo della sospensione del marzo 2004 dovuta ad una voce infondata. E' un po' come quando arrivò il Livorno in serie A e tutte le telecamere vennero puntate sulle esternazioni politiche dei tifosi amaranto. Si ha la notiziola, la si dilata, si monta il caso per un periodo, fino a che non appare qualcosa di più succulento. In serie B e in serie C si contano feriti a grappoli, ma finché non ci scappa il morto non interessano nessuno.
Due accoltellati sono un fatto gravissimo, da condannare. Ma da condannare è soprattutto la non-cultura che c'è dietro, quella del furbo e del vile che la fa franca. E' un modo di pensare che investe tutto il paese; ditemi voi se si può fare una scelta tra chi usa un coltello a Roma e scappa e trenta persone che pestano un ragazzo fino ad ucciderlo a Milano e vengono assolte. Non si può, non si deve. Come non si può e non si deve parlare a sproposito, approfittando di un evento riprovevole per lanciare la solita secchiata di merda contro questa o quella città. Chi lo fa non vale niente e merita unicamente disprezzo.
Per finire, vorrei parlare di calcio giocato. Al di là delle polemiche e delle rivalità. Angelo Peruzzi ha annunciato il proprio ritiro, a 37 anni. Che dire, da romanista non è che consideri Peruzzi un grande esempio di simpatia. Forse dovrei ritenerlo anche scorretto e mercenario. Però sarebbe ingiusto e irragionevole essere indifferenti di fronte al campione che è stato e che ancora è. Peruzzi ha sempre raccolto poco, rispetto a ciò che ha dimostrato. La stampa e la tv lo hanno definito un bravo portiere senza mai andare oltre, senza mai tributargli le lodi che invece avrebbe avuto diritto di ricevere. Un fisico massiccio, quasi tozzo, ed una velocità tra i pali che nessun altro possiede. Un senso della posizione raro da trovare, la capacità di vedere la palla all'ultimo secondo e di distendersi fulmineo. E quella presa incredibile, a volte con una sola mano, come se avesse una calamita sui guanti. Una carriera costellata dagli infortuni senza i piagnistei e le lacrime tipiche di chi deve catalizzare l'attenzione su di sé. Peruzzi non è stato un bravo portiere, è stato un fuoriclasse; si parla troppo di mezzepunte e di attaccanti, si parla troppo di Buffon, dimenticando "Il Gatto" che non ha mai perso l'istinto.
mercoledì 2 maggio 2007
La quiete dopo la quiete
Gol segnato da numerodieci alle 07:56:00
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento