giovedì 3 maggio 2007

Diavoli rossi. E neri.



Dev'essere una bellissima sensazione. Nessuno che scommette su di te e tu che fai piazza pulita di un anno di polemiche così, in una serata, con una prestazione che definire magistrale è poco. Non resta molto da commentare. E' il Milan. Antipatie, rancori, l'arroganza di Galliani, l'onnipresenza di Berlusconi, il caso Meani. Tutto questo passa in secondo piano fino a dissolversi, se si parla di calcio giocato.
Il Diavolo di quest'anno è partito malissimo, non solo per la penalizzazione, ma anche per la scarsa fiducia che riponeva nei propri mezzi. Un portiere troppo sbadato, una difesa in età avanzata, con evidenti vuoti di memoria, un centrocampo a fasi alterne, un attacco orfano del suo nome migliore, Shevchenko. Ma appunto, il pallone non è solo un fatto di nomi. E' la pazienza di Carletto Ancelotti, pressato tra giornalisti che vogliono insegnargli il mestiere, un presidente che dopo le sconfitte dà le formazioni e un pubblico che lo aspetta al varco. Io me lo ricordo, Ancelotti, quando giocava. Silenzioso, tranquillo, un centrocampista di grande sostanza e grande classe, due caratteristiche difficili da mettere insieme in un calciatore solo. Me lo ricordo, quando andava in giro con le stampelle per colpa dei quei maledetti infortuni alle ginocchia. Me lo ricordo pure quando con un tiro da fuori area bucò la rete, alla faccia di quelli che lo definivano un gregario timido. Bisognerebbe stare attenti alle parole che si adoperano. Una persona poco loquace, poco incline ai proclami, quasi schiva, non è una persona senza carattere. Anche da allenatore c'è chi continua a contestarlo, a metterlo in dubbio, a farlo sentire sempre sul filo del rasoio. Be', Carletto li ha zittiti tutti, ancora una volta, ammirando sornione dalla panchina il trionfo suo e dei suoi calciatori. Il pallone è la carica di Gattuso. Uno che fino a qualche tempo fa io pensavo fosse un macellaio, perché da stolto scambiavo la grinta con la scorrettezza. E invece no, invece Gattuso ha lo spirito e la statura del giocatore di calcio vero, quello che suda, che si incazza, che ha la costanza per migliorare perché qualcuno gli dice che ha i piedi fucilati, che pensa al gruppo e lo tiene unito incitando i compagni continuamente manco fosse un ultras. Il pallone è la genialità di Kakà, stile sopraffino, palla appiccicata al piede, un occhio alla porta e uno all'attaccante da mandare in gol. Il celebratissimo Cristiano Ronaldo ieri non ha solo perso una partita, ha perso un confronto importante ed ha visto con i suoi occhi come è fatto un campione da vicino. Uno come Kakà, che quando ti punta non si perde nei giochini da foca ammaestrata, ma mira all'essenziale per sé e per il collettivo, deve far meditare i presunti intenditori che si sdilinquiscono di fronte alle piroette delle ballerine. Il pallone è anche la concentrazione di Alberto Gilardino, uno che come seconda punta al Verona era considerato meno di Bonazzoli, che al Parma diventa una stella e va sugli scudi, che al Milan viene sminuito perché ha fatto "solamente" 17 gol l'anno scorso e 12 quest'anno in campionato. Uno che appena può ci mette la firma, quando si tratta di gol pesanti (e spesso anche belli), ma dato che non è Shevchenko allora è giusto che si becchi le critiche e stia silente.
Ieri il Milan ha dato scuola agli inglesi di Manchester e ad un sacco di italiani persi nei pronostici e nei ciechi elogi dei Red Devils e della Premiership. Ha ribadito la sua dimensione internazionale e questo conta più di ogni altra riflessione. Se vai avanti in Champions League sei una grande squadra. L'avevo già scritto in precedenza, l'aria che si respira in alta quota è diversa da quella di pianura. Giocare negli stadi europei, affrontare avversari prestigiosi, magari vincere e dare spettacolo; quello che si semina si raccoglie, non esistono telefonate ambigue né scambi di favori ed è un'altra storia rispetto al chiacchiericcio del campionato. E' la differenza che passa tra una bella gita fuori porta e una splendida vacanza, che so, in Australia. Per questo i milanisti possono essere doppiamente contenti. Perché il Manchester pensava di fare una gitarella senza accorgersi di aver preso l'aereo per l'Australia e perché l'anno dell'Inter è stato già cancellato dalla stagione del Milan.

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