Le carote sono servite a poco, a quanto pare. La Roma c'è, esiste, è viva e lotta insieme a noi, tanto per continuare la serie di slogan che sfilano numerosi in questo periodo dovunque. La gara contro la Sampdoria ci dice alcune cose. Prima di tutto che la Roma è una squadra in salute, vince 4-0 contro una Samp non bella ma in alcuni casi pericolosa, che Francesco Totti, stanco di non essere decisivo in Europa, in Italia è indispensabile e consolida la vetta della classifica marcatori, che Christian Panucci è uno splendido 34enne e che Matteo Ferrari ha lasciato da tempo quell'ombra che lo aveva perseguitato dal momento in cui era atterrato a Fiumicino. Ritengo superfluo soffermarmi sul solito Totti, reo di aver messo a segno due reti di buona fattura e di aver disputato un'ottima partita contro una Samp che sembra ormai diventata bersaglio prediletto. Più che altro sono un po' stupito del fatto che nessuno abbia sottolineato la prestazione di Ferrari, che poche volte è stato risparmiato dal banco degli imputati. Ora, sappiamo tutti che Ferrari ha dei limiti oggettivi: è un difensore lento, molto molto timido, nonostante sia piuttosto alto non è esattamente una roccia. Però ha anche dei pregi, e spesso vengono ignorati o dimenticati. Il suo procuratore Gianni Corci spiegava intervenendo ad una radio locale (Rete Sport), tra le risatine generali, qualche mese fa, che Ferrari è un ottimo calciatore se impiegato sull'uomo. Azzardò, in quell'occasione, uno sciagurato paragone con le due colonne della difesa romanista, Chivu e Mexes, dicendo addirittura che in marcatura il suo assistito era il migliore dei tre. Naturalmente la sua dichiarazione passò in sordina. Sarà che Corci sembra simpatico e che Ferrari sembra un ragazzo tranquillo, ma mi è rimasta impressa quell'affermazione esagerata. Si sa che i procuratori fanno carte false pur di spingere i propri assistiti, anche quando si tratta di palesi brocchi da ippodromo di quart'ordine. Eppure...
Se si vanno a vedere le prestazioni di quest'anno, Ferrari è risultato certamente il più continuo, come rendimento, fra i tre centrali giallorossi. Vabbè che poi io ho il dente avvelenato con Christian Chivu. A questo proposito apro una parentesi. Ultimamente, con l'avvicinamento della fine del campionato, si è tornati a parlare delle cessioni importanti che dovrà fare la Roma. Cioè, che potrà fare la Roma, visto il suo bilancio positivo su cui elegantemente si continua a bluffare con articoli giornalistici a mio avviso da querela. Ammettiamo comunque che la Roma decida di dar via uno tra Mancini, Mexes e lo stesso Chivu.
Ok, si può dire che il brasiliano gioca bene solo quando accende l'interruttore e soprattutto è sempre rimasto un po' ai margini di un ambiente caloroso e di un gruppo in cui sembrano tutti ben inseriti. Si può dire allo stesso modo che Mexes è venuto a Roma grazie ad un colpo di mano, e questo fa sì che, vista anche la clausola rescissoria del suo contratto, il francese possa partire per una squadra più blasonata di quella capitolina (e ce ne sono molte, lo sappiamo). Tuttavia, Mancini quell'interruttore lo accende spesso e quando lo fa non ce n'è per nessuno. Fintantoché non apparirà all'orizzonte un sostituto degno, la Roma dovrà trattenere il brasiliano, c'è poco da fare. Tuttavia, Mexes ha dimostrato ampiamente di essere non solo un difensore abile, bravo tecnicamente e forte fisicamente, ma anche di avere quella personalità che all'inizio della sua avventura romana è stata scambiata per inutile irruenza. E' un giocatore carismatico, in più sembra essersi inserito alla perfezione nello spogliatoio, a tal punto da poter essere considerato un leader. E' un giocatore, insomma, che comunica un certo rispetto. E a Roma non è poco, così come non è poco in qualsiasi altra città. Chivu, invece, sembra in preda a frequenti amnesie; dal punto di vista del carattere, spesso sparisce dal campo quando c'è da metterci il cuore. Dal punto di vista tecnico, gioca quando può e non sempre bene. Ho l'impressione che viva di rendita, ecco. Sa fare cose egregie, ma sa anche sbagliare grossolanamente. Quest'anno diverse reti subìte dalla Roma portano la sua firma, purtroppo. Sbaglia i tempi sotto porta, non ha una grande corsa in recupero, quando trova un attaccante rapido si fa saltare nove volte su dieci. E' bravo negli anticipi, ha una grande classe, per carità; quell'unica volta che ferma l'avversario magari lo fa anche con una certa spettacolarità. Ma in marcatura se andiamo a fare il conto degli errori e degli interventi riusciti negli ultimi tempi, il risultato non credo sia tanto soddisfacente. Ora, uno come Chivu, titolare nella Roma e capitano della nazionale romena, gode in Europa di un alto credito. Se la Roma lo vendesse ne ricaverebbe diversi milioni di euro, che non guastano mai e che possono permetterle di acquistare un centrale magari meno famoso ma certamente più concreto. Dato che io sono convinto che la dote fondamentale di un difensore sia proprio la concretezza e non la leggiadria, la partenza di Chivu non la riterrei un qualcosa di doloroso, anzi. Ma cosa c'entra la parentesi-Chivu con Matteo Ferrari?
Be', posto che in assoluto Chivu è migliore rispetto a Ferrari, in marcatura quest'ultimo secondo me - e secondo Corci - è assai più bravo. A Roma ha avuto un'annataccia, ma chi si è salvato dall'Annus Horribilis 2004-2005? Praticamente nessuno. La croce l'ha portata Ferrari, colpevole di alcune papere innegabili, ma che nel marasma generale non hanno poi fatto questa differenza. Dopo un anno convincente con l'Everton, Spalletti ha creduto di poterlo rigenerare e c'è riuscito. Quante scommesse ha vinto con se stesso Spalletti... Matteo è stata una di queste. La prestazione di domenica è stata praticamente perfetta. Mai una sbavatura, mai un'incertezza, addirittura un paio di volte ha arrischiato dei dribbling in area totalmente riusciti. In silenzio e con grande umiltà, sostenuto dal pubblico che ne ha sempre parlato male ma mai lo ha fischiato o messo a disagio durante le gare, questo ragazzo nato in Algeria ha risalito la china nell'indifferenza. Ha recuperato una personalità che molti davano per inesistente o smarrita, vedi il sombrero a Luca Toni in Fiorentina-Roma di quest'anno, i citati dribbling su Quagliarella, il gol decisivo ad Udine. Fuori dal campo è uno dei pochi che nelle conferenze stampa parla di sé onestamente e non si tira indietro di fronte alle domande spinose. Non lo voglio far passare per il fenomeno che non è, magari mi smentirà alla prossima gara, ma di certo più di una persona dovrebbe scusarsi con lui, dopo avergli dato del brocco, della pippa, dello scarso, dell'antigiocatore. In una città e in una tifoseria che crea e distrugge miti nell'arco di un paio di partite, questo silenzioso quanto efficace Numero 21 ha oggi il pieno diritto di avere quell'attenzione che non gli è mai stata riservata.
lunedì 16 aprile 2007
The Number 21
Gol segnato da numerodieci alle 15:04:00
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