martedì 29 maggio 2007

Up Patriots To Arms

Allora, oggi è uscita la seguente notizia: tra i 24 preconvocati dal c.t. brasiliano Dunga in vista della Coppa America che si disputerà in Venezuela, non figurano Kakà, Ronaldo e Ronaldinho.
Notiziona eh? Manco per sogno. A nessuno frega niente, al massimo il Brasile lo vediamo durante i mondiali e se ci gira ci andiamo in vacanza per rimorchiare qualche bella culona.
Noi siamo fieramente italiani. Già. Siamo talmente fieri che quando accade che Kakà e Ronaldinho chiedano espressamente a Dunga di risparmiargli la partecipazione alla Coppa America, ce ne disinteressiamo totalmente. Sono dei campioni e dei grandi esempi da seguire, loro, e poco importa se fanno cose che non perdoneremmo mai ad un nostro connazionale. Del resto abbiamo tanti guai in casa nostra. Alessandro Nesta prende commiato ufficialmente dalla maglia azzurra. Totti invece continua a stare con un piede in due staffe, sospeso tra un arrivederci a settembre e un addio nel giugno scorso.
Totti, Totti. Quante se ne sentono, da qualunque parte ci si volti. E' il migliore del mondo, è sopravvalutato, è fondamentale per qualsiasi squadra, non è decisivo nelle gare che contano. Personalmente non posso che dirne bene. Ma mi piacerebbe poterne parlare male. Dico sul serio. Vorrei entrare nella testa di chi lo ritiene mediocre per poter seguire tutte le argomentazioni del caso, perché così proprio non ce la faccio. Mi sforzo ma non succede nulla. Tutt'al più posso dire senza grandi problemi che, life is now o meno, non brilla per simpatia quando si lancia in qualche dichiarazione. Ma oltre non riesco ad andare. Sarà che sono della Roma, boh. Sarà che l'ho visto giocare da quando esordì con Mazzone e sentire la gente che straparla di Totti adesso, a 15 anni dalla sua prima volta in A, mi sembra sciocco.
Posso affermare senza timori che Totti in questi anni ha lavorato molto per risultare un prodotto da spettacolo. Sposato ad una letterina con tanto di matrimonio-show in diretta su Sky, figura presente in spot, libri autopromozionali, beneficenza, figli annunciati dai telegiornali. Lo hanno fatto altri, lo ha fatto e lo fa anche lui. A me non piace questo lato, ma non vedo perché debba influire sul giudizio che se ne ricava quando lo si valuta per come gioca.
Ha vinto poco quindi vale poco, dice qualcuno con solerzia burocratica. Mah. Se fosse andato a Madrid o a Milano avrebbe vinto di più, ribatte qualcun altro con zelo ed efficienza. Mah anche qui. Decidiamoci: o è uno non all'altezza di vincere oppure è uno che, avendo fatto una scelta, ci ha messo le palle e nonostante tutto si è guadagnato un posto in palcoscenico. Le palle?, risponde un terzo bene informato, con quello stipendio principesco sono tutti buoni a fare le bandiere. E pensare che c'è chi con stipendi migliori ha fatto una comparsata con una maglia e poi tanti saluti. E pensare che c'è chi si è vantato di percepire un quinto di quell'ingaggio a quasi 40 anni dopo aver girato mezzo mondo. O chi ogni anno va sulle prime pagine dei quotidiani perché deve capire se restare o meno, magari rimettendo nelle mani di Dio e non di un procuratore il proprio destino. E pensare che c'è chi, in silenzio, ha preso di più senza per questo essere additato mai nemmeno per errore. Francesco Totti ha fatto quello che chiunque di noi avrebbe fatto, senza ipocrisie: ha mollato i suoi procuratori Zavaglia&Moggi jr. dietro la promessa di Sensi, che gli avrebbe fatto un contratto a vita con cifre faraoniche, in un periodo in cui anche le pulci a Roma potevano permettersi di bussare alla porta del presidente con il contratto in mano. C'è poi una questione di sfruttamento dei diritti che la società gli ha lasciato interamente, permettendosi così di pagare meno del pattuito; sinceramente non so con esattezza come funziona questa storia, ma so che è qualcosa di positivo e forse di unico in Italia. Sì ma ancora non si parla delle doti tecniche del giocatore. Quindi apriamo le danze. Scarpa d'oro? E che sarà mai? L'ha vinta anche Darko Pancev. Infatti quand'è arrivato all'Inter tutti pensavamo che fosse un fenomeno senza pari, guarda un po', e solo l'anno dopo ci ha fatto ricredere. Ma non è più importante del Pallone d'oro. Sono d'accordo. Ditelo a Sammer, Papin e Belanov, mi raccomando. Ma andiamo avanti.
E' bravino, per carità, ma sopravvalutato. E perché? Perché in fondo fuori dai confini nazionali non ha mai convinto. Abbiamo un problema: fuori dai confini nazionali è la Roma a non aver convinto; non ricordo, a memoria, un calciatore di una squadra discreta ed inesperta che fa sfracelli e fa discutere di sé a livello mondiale. Ma Totti anche in azzurro. Per esempio quando ha sputato a Poulsen. Beh sapete che c'è? Che tutto questo assurdo moralismo comincia a frantumarmi le palle. Totti ha sputato a Poulsen ed ha fatto benissimo. Io avrei fatto di peggio, gli avrei mollato una stecca alla Montero, tanto per ricordargli che lui è Poulsen e le provocazioncine a base di spintarelle, calcetti e insulti imparati ad arte sono da fallito, oltre che da vigliacco (Rino Gattuso non perse l'occasione, al termine di Milan-Schalke 04). Ma Totti è un professionista, non doveva. E' singolare però che il professionismo esca fuori a proposito di una partita in cui i danesi avevano piazzato delle telecamere appositamente per cogliere in castagna una reazione del numero 10. I danesi si sono dimostrati più scaltri di noi, e Dio solo sa quanto ho goduto quando Danimarca e Svezia si sono rese protagoniste del famoso "biscotto" ai danni dell'Italia. Perché tutti i moralizzatori nostrani hanno borbottato qualcosa, hanno tentato di alzare la voce ma alla fine hanno dovuto desistere: cazzo, e adesso chi glielo spiega a Totti che i danesi non sono così professionisti come credevamo?
E senza citare troppi episodi a favore del Capitano, si può arrivare ai momenti recenti. Dovrebbe essere un onore giocare con la nazionale, Totti invece fa come gli pare e non è giusto. Giusto, non è giusto, e scusate il gioco di parole. Non è giusto neanche che si continui ad adoperare la scusa della placca e delle viti, che tanto scusa non è ma sicuramente non gli ha impedito di diventare capocannoniere quest'anno. Ma tirare fuori l'onore fa ridere i polli. Bisognerebbe domandare a Mauro German Camoranesi, quando tutti cantavano l'inno di Mameli e lui no, cosa pensava dell'onore azzurro. Bisognerebbe chiedere a Paolo Maldini e ad Alessandro Nesta, che hanno lasciato la nazionale pur continuando a giocare regolarmente in campionato cosa ne pensano dell'onore. Sì ma Totti esagera, dice che la Roma viene prima di tutto, che sono meglio i quarti di Champions e la Coppa Italia della finale mondiale. Imprecisione. Totti dice sempre la stessa cosa, ma pare che predichi in una landa abitata da sordi: mi ha emozionato di più, la sento di più. Significa che sei più teso, che sei felice quando arrivi con la squadra per cui fai il tifo e per cui hai sempre giocato a certi traguardi. Facciamo uno scambio: il Milan restituisce la Coppa dei Campioni e l'Italia vince il prossimo mondiale. L'Inter rinuncia agli ultimi due scudetti e l'Italia vince il prossimo mondiale. La Juventus si fa un altro anno di serie B e l'Italia vince il prossimo mondiale. Sono tre mondiali vinti, in fondo. Quale tifoso non baratterebbe queste sue personalissime gioie con una bella vittoria tricolore, "di tutti"? Quale calciatore non rinuncerebbe ai trofei e ai titoli (e ai soldi) pur di essere campione del mondo? Il solito generoso Gattuso dichiara sportivamente che per lui non c'è paragone, ma capisce Totti quando si lascia scappare certe frasi. Gattuso i trofei li vince spesso e, se pure nato in provincia di Cosenza, non ha mai giocato con una squadra calabrese. Ma quanto è facile essere patrioti?
Beh vabbè, comunque Totti con l'Italia non ha mai fatto niente e quindi non può parlare. A questo punto mi arrendo, dimenticando cucchiai olandesi, doppiette bielorusse, assist vincenti e selezioni nelle formazioni ideali. Sì, avrà anche segnato il rigore decisivo al 94° contro l'Australia nei quarti, ma per il resto ci ha fatto giocare in dieci. E' incredibile come questa accusa si senta e si legga spesso, ed è incredibile come in una sola frase possano coesistere almeno quattro concetti in palese contrasto tra di loro. Perché il rigore l'ha tirato lui, faccia a faccia con Schwarzer. Gli altri dieci autosufficienti che avevano pareggiato 0-0 nei 90 regolamentari stavano facendo gli scongiuri.
A far finta di niente, a minimizzare, a disconoscere i meriti altrui siamo veramente imbattibili. Tuttavia lascio una testimonianza imbarazzante, per tutti coloro i quali quel giorno hanno esultato e si sono abbracciati, tutti coloro che dovrebbero vergognarsi oggi quando pensano a Berlino.


All Star Team Germany 2006:

Portieri: Buffon (ITA), Lehmann (GER), Ricardo (POR).

Difensori: Ayala (ARG), Terry (ING), Thuram (FRA), Lahm (GER), Cannavaro (ITA), Zambrotta (ITA), Ricardo Carvalho (POR).

Centrocampisti: Zè Roberto (BRA), Vieira (FRA), Zidane (FRA), Ballack (GER), Pirlo (ITA), Gattuso (ITA), Figo (POR), Maniche (POR).

Attaccanti: Crespo (ARG), Henry (FRA), Klose (GER), Toni (ITA), Totti (ITA).


Salute e fraternità.

giovedì 24 maggio 2007

Supermarket Roma


Se c'è una cosa che non reggo è l'incondizionata propensione di molti a parlare dei fatti altrui. Se poi questo si fa con informazioni di terza mano, pregiudizi imbecilli, voci di corridoio è ancora peggio. Un comportamento del genere mi manda letteralmente in bestia. Un film che ho amato tanto e che ovviamente continuo ad amare è Taxi Driver; in alcuni momenti, preso dal fastidio estremo, mi piacerebbe essere Travis Bickle, per poter "ripulire la città" a modo mio. Non sarebbe né democratico né giusto, probabilmente, ma non è che i sensi di colpa mi attanaglino granché. La realtà è triste, perché nella chiacchiera a buon mercato c'è il cuore di un modo di pensare scarso, poverissimo e purtroppo diffuso. L'esempio lampante è proprio nella mia frase: "mi piacerebbe essere Travis", ho scritto. Un sacco di gente grigia e vile scriverebbe "ci vorrebbe Travis" (ammesso che sappiano chi sia). Ma perché scrivo queste parole in un blog dedicato al calcio? Perché l'umore popolare, quello più basso e spesso più sincero - aggettivo che non sempre si connota positivamente - lo si ritrova nei commenti calcistici.
Io sono di parte, come tutti quelli che fanno il tifo per i propri colori. Ma a me di andare a parlare dei soldi di Moratti, delle mosse della Fiat pro-Juventus, di Berlusconi e il Milan importa assai poco. A me come ad altri tifosi giallorossi. Si può dire quel che si vuole, è un fatto che i romanisti si infiammino esclusivamente per la loro squadra senza stare troppo a guardare nelle case d'altri, mentre accade esattamente l'opposto quando c'è qualche cosa da dire sulla Roma, specie se questo qualcosa è legato ad un problema. La scelta nel mucchio è ricca ed abbondante, si può partire da Totti, bersagliato ogni qual volta muove un passo, si può passare per l'Olimpico e si può terminare con le ormai mitiche finanze della società.
Ed è proprio questo il punto peggiore. A sentire i tifosi delle altre squadre, la Roma è:

- una società protetta dai politici.
- una società senza soldi e senza organizzazione.
- una società sovrastata dai debiti.
- una società che comanda sugli arbitri.
- una società di serie B rispetto alle altre.
- una società che corteggia il potere.
- una società che ha visibilità in tutte le tv e i giornali.
- una società che deve vendere i pezzi migliori.
- una società che prende solo parametri zero.
- una società che va avanti con i prestiti.
- una squadra che non vincerà mai nulla.
- una squadra fortunata.
- una squadra antipatica.
- una squadra noiosa.
- una squadretta.
- una squadra di provincia.
I calciatori:
- sono delle pippe.
- sono bravi ma se vogliono vincere devono andarsene.
- hanno contratti bassi.
- sognano di giocare con un'altra maglia.
- costano troppo.
- costano così poco che sarebbe una bazzecola prenderli.

Ora, confutare una dopo l'altra queste affermazioni sarebbe una perdita di tempo. Non che non si possa fare, ci vuole talmente poco a smontare argomenti cretini in netta contraddizione tra di loro. Il mio ragionamento è un altro. Ma è possibile che ogni volta che esca fuori il nome "Roma" tutti si sentano in diritto di dire la loro senza mai guardare i fatti loro? Voglio dire: ma chi glielo fa fare a uno che tifa Juve, Inter, Milan o Fiorentina (per non dire di altri che davvero non possono permettersi di aprire bocca nemmeno per respirare) di sputare sentenze su quanto guadagna Totti, discettare sulle ambizioni di De Rossi o parlare dei bilanci di Trigoria? Ma perché? Boh. E' un mistero. Vorrei sapere per quante altre società si spendono tante parole. E l'Inter non si tocca perché per correttezza bisogna dare atto a Moratti di aver primeggiato in maniera pulita, e il Milan ha trionfato in Champions ma non si può parlare della storia di Meani né dei conflitti di Galliani, e la Fiorentina con Della Valle è solo una vittima del sistema altrimenti avrebbe vinto chissà che, e la Lazio con Lotito il moralizzatore galeotto sta risalendo la china con fatica e merito, e la Juve si è rifatta la facciata anche se i più rimpiangono Moggi per cui sono un po' onesti tristi e un po' ladri felici. E che palle. Sono passati sei anni dallo scudetto di Capello sulla panchina giallorossa e sembrano un'eternità. Allora c'erano dei debiti reali che guardacaso oggi si sono trasformati in irrisolvibili guai economici. Allora dovevano andar via Totti e Montella ed oggi devono andare via Mexes, Chivu, Mancini e De Rossi. Perché tanto la Roma non se li può permettere. Ma che cazzo ne sapete voi. Siamo tutti ricchi coi soldi degli altri, è questa l'unica considerazione che mi viene in mente. Gli interisti sono orgogliosi di Moratti che dilapida una fortuna in dieci anni per vincere lo scudetto meno apprezzato della storia. I milanisti sono primi in Europa e in cima ai loro pensieri c'è il ritorno di Shevchenko come nuovo acquisto. Gli juventini sono contenti perché hanno riempito gli stadi della serie B (ma questo dato non li fa riflettere?) con una squadra di giovani a detta loro fortissimi, ma già mugugnano perché vogliono tutti fenomeni in A e godono per aver cacciato il povero Deschamps trattato come una marionetta. I fiorentini probabilmente perderanno Toni però Della Valle è un grande presidente e infatti gli tocca puntare su Pazzini e Lupoli, tanto poi è colpa del Palazzo governato dagli altri cattivoni e prepotenti. I laziali contestano Lotito, poi lo portano in palmo di mano, e a dar senso alla loro stagione invece del terzo posto c'è la partita di Manchester. Questa gente quanto varrà? Più o meno di Mexes e Chivu? Anche loro potrebbero essere scambiati con Recoba e Grosso più la metà di Pizarro? Oppure con Balzaretti e Chiellini? O ancora, possono essere presi in prestito o a parametro zero? Questa gente che fa lavori sicuramente onorevoli, in molti casi umili, che si spacca la schiena per arrivare a fine mese, come si permette di mettere le mani nella cassa della Roma e di concludere che "non hanno i soldi mentre noi sì"? Questa gente che "sa", che conosce le manovre finanziarie ma al massimo ha avuto tra le mani le figurine dei calciatori perdendole o scambiandole, cosa crede di contare?
Invece di guardare le possibilità degli altri, questa gente dovrebbe fare due conti con se stessa. Perché l'unico, vero lusso è la dignità che non possiede.

mercoledì 23 maggio 2007

Sul Tetto d'Europa


"Che te lo dico a fare?"
Johnny Depp, Donnie Brasco, 1997.

E che vuoi dire? Una gara non bella, tesa e anche un po' fallosa. Due gol che arrivano come manna piovuta dal cielo, due gol di cui uno pure fortunoso, due gol di un rapace d'area che gli espertoni nostrani definiscono ormai da molti anni un ex giocatore.
Che vuoi dire? All'ultimo minuto Kuyt segna e gli idioti ridono perché pensano ad una nuova Istanbul, Kakà si avvicina a piccoli passi al Pallone d'Oro, il Berlusca mostrando la criniera luminescente se ne sta in tribuna con la sua smorfia da piccolo Cesare.
Parole e basta. Non sono milanista e non farò mai il tifo per i rossoneri, ma mi è già capitato in precedenza di esprimermi sugli uomini di Ancelotti. Sono un appassionato del gioco del calcio. Non mi piacciono i discorsi scialbi e pilateschi di quelli che "comunque è una squadra italiana". Chi se ne frega se è una squadra italiana. Il motivo è un altro: è una grande squadra.
Parte in campionato senza entusiasmi, con una campagna acquisti a dir poco pietosa se si pensa che al posto di Ronaldinho è arrivato un tale Ricardo Oliveira pagato 17 milioni e con una penalizzazione di otto punti che molti ritengono un regalo. A gennaio i dirigenti pensano di dover accontentare i tifosi delusi e comprano un semidecotto Ronaldo che non può nemmeno giocare la Champions. Intanto proprio in Champions si prosegue, tra una partita così così e un avversario che qualcuno rimpicciolisce tanto per fare opera di denigrazione. Il campionato fa il suo giro di boa mentre Carletto e i suoi compiono una risalita lenta ma netta, lavorando sottovoce tra i proclami e le lamentazioni altrui.
Saltando passaggi e passaggetti, va a finire che il Milan lotta per il terzo posto con poco distacco dalla Roma (senza penalizzazione) e passa in Europa dopo una stratosferica semifinale contro il Manchester United. C'è da vedersela di nuovo con il Liverpool, come due anni fa. I soliti coerenti tipicamente italioti che non perdono occasione per criticare Totti che non va in nazionale ripescano gli amuleti, le pozioni e i malocchi passati sperando che il Liverpool stravinca la finale. Azzardano previsioni e beffe premature, dando per spacciati i rossoneri, esaltando Gerrard e Crouch che dovrebbero stracciare un centrocampo e una difesa già battuti. Da parte mia, solo il pensiero che il Liverpool è la squadra inglese meno inglese che c'è, e perciò estremamente pericolosa: concreta, quadrata, prudente, ben organizzata. Il Milan, pur avendo un carattere di ferro, dovrà sudare parecchio.
Si giunge, finalmente, alla gran soirée di Atene. La partita non concede grosse emozioni, le squadre sono guardinghe, Benitez presenta una formazione compatta che gioca molto la palla. Il Diavolo bada al sodo, corsa e gambe e ripartenze. Proprio ripartendo guadagna una punizione tirata stranamente da Pirlo, con il pallone basso che va a toccare quasi impercettibilmente un braccio di Pippo Inzaghi; è la prima rete. Caso? Istinto? Che importa? E' gol. Si scivola in un secondo tempo di tattica esasperata e di nervosismo. Ditemi il nome di un calciatore italiano che può riaccendere una gara stanca con un guizzo improvviso. No. Nemmeno. No, neanche lui. Se non avete indovinato, di calcio non capite una mazza. Eh sì, ancora Pippo Inzaghi, che si beve Reina in contropiede, imbeccato da Kakà. Due a zero, l'impressione è che manchi davvero poco e che Istanbul sia lontana non solo per l'inimicizia storica tra greci e turchi. Kuyt all'89° tenta di rimettere in discussione tutto ma è impalpabile la reazione degli inglesi. L'arbitro tedesco Fandel fischia tre volte di seguito: il Milan è campione d'Europa; secondo trofeo in quattro anni, con tre finali disputate. Che vuoi dire?
Chi ama riempirsi la bocca di demerito, motivazioni, culo e mediocrità può accomodarsi nell'angolino buio e vuoto, dove ha pieno diritto di esprimersi.

giovedì 17 maggio 2007

Silenzio

Apriremo un ciclo di vittorie (M.Moratti)
Noi abbiamo vinto l'altro trofeo, quello vero (F.Toldo)
Se ci davano il rigore sullo 0-0 sarebbe stato diverso (S.Mihajlovic)
Per il ritorno spero nel miracolo (M.Moratti)
Sarà la nostra ciliegina sulla torta (R.Mancini)
Non l'ho sentita, me ne importava poco, come ai giocatori (M.Moratti)
Loro avevano più motivazioni di noi (R.Mancini)
A questa finale ci tenevamo (R.Mancini)
L'Inter reclama un rigore e ha tanti motivi per farlo (www.inter.com)
Abbiamo dimostrato il motivo per cui siamo la squadra più forte (E.Cambiasso)
Siamo stati sfortunati (J.Zanetti)
Resta l'amarezza per tante decisioni arbitrali (www.inter.it)
La Roma non ha fatto nulla (J.Zanetti)
Inter-Roma 2-1, con onore (www.inter.it)




Alla fine è solo questo ciò che resterà.
(R.Mancini)

venerdì 11 maggio 2007

Scemo e più scemo

Mi sa che era meglio fare un blog sulle buffonate dell'Inter. Anche se a lungo andare queste cose stancano, e forse faccio un errore ad aggiungere altre parole dopo i sei gol presi dalla Roma. Quindi scriverò poco e mi limiterò alle immagini, perché magari qualcuno ha la memoria corta e la coscienza sporca. Le immagini valgono più di mille parole. Opinabile, ma in questo caso almeno utile.
Massimo Moratti, ormai non più signore ma supercafone conclamato, al termine della gara afferma con aria rabbuiata che la sconfitta è pesante e che per rimontare servirà un miracolo. Non pago di tanta onestà, ci mette un pizzico di arroganza e di stupidità che non guastano mai e confermano il nuovo corso della sua inarrivabile classe: "Era la partita di cui ci fregava di meno (...) Io non l'ho sentita, come i giocatori". Bravo lui e ottimi professionisti i suoi. Più che altro dovrebbe far pace con l'altro se stesso, quello che invece il giorno dopo dice di volere una reazione vitale dalla squadra. Non convince troppo questa improvvisa mancanza di interesse. Ad esempio se si guarda la foto qui sotto:



A me non sembra gente disinteressata e impassibile. L'oggetto che viene alzato al cielo è proprio la Coppa Italia. Ma si può vedere qualcosa di più; così:



Certo, poi si potrà pensare che Roberto Mancini, fresco vincitore del tricolore, abbia trasmesso alla sua squadra una certa indifferenza, lui che ai trofei è abituato. Per esempio è abituato a questo:



Ma non scordiamoci che anche i tifosi, grazie alla loro mentalità vincente, se ne fregano. Sarà per questo che in rete si trovano simili cartoline:



Oppure che, restando alla partita di Roma, sono arrivati con la seguente coreografia:



Forse, come mi hanno suggerito, erano le bandierine della Croce Rossa, sventolate dopo il quarto gol giallorosso come un disperato SOS.
Resta il fatto che Moratti passa dal gesto dell'ombrello allo snobismo del portaombrelli. Che parla di aprire un ciclo vincente, ma se perde ora un trofeo ufficiale, il ciclo resta chiuso a doppia mandata. Che la prossima settimana festeggerà fatalmente 6 2 anni. Be', tanti auguri.

mercoledì 9 maggio 2007

El Grinta

Mi piacerebbe poter ringraziare di persona Christian Panucci. A Roma giustamente si adorano Totti e De Rossi perché sono romani e romanisti, ma proprio perché venuto dal Nord, Panucci merita una considerazione speciale.
Pensavamo fosse un uomo fidato di Capello, e così non era. Pensavamo fosse di passaggio, visto il suo curriculum da giramondo, e invece si è fermato. Ricordo che, prima del suo arrivo, giravano strane voci su una sua presunta antipatia verso Roma e i romani, e addirittura lessi su un giornale che strizzava l'occhio alla Lega Nord. Se mai ha avuto certe idee, deve averle cambiate.
Non so in futuro, quando smetterà di giocare, cosa farà e cosa dirà. Potrebbe aprire una pizzeria come in Futurama (Panucci Pizza, dove lavorava Fry) o una catena di negozi come fanno molti ex. Potrebbe essere un altro dei tanti che scompaiono dalla scena o che vanno in tv a fare gli opinionisti secondo copione. Qualunque sia la scelta, credo che rimarrà legato alla Roma.
Mi ricorda molto Sebino Nela. Un temperamento forte, l'autorevolezza necessaria per guardare tutti dritti negli occhi e il carisma di un capitano senza fascia. Mi ricorda Marco Delvecchio. Attaccato alla maglia manco fosse nato a Trastevere, sempre pronto a metterci la faccia, nel bene e nel male, testardo ed orgoglioso fino ad avere ragione. Mi ricorda Gabriel Batistuta. La mentalità di chi sa di valere tanto e di essere d'esempio ai più giovani.
Mi ricorda tutti quelli che sono nati e cresciuti lontano da Roma, ma che una volta arrivati hanno saputo ambientarsi alla perfezione e non hanno mai smesso di voler bene a questa città, alla sua gente, alla Roma; tutti quelli che sono stati ricambiati ed amati talvolta più del dovuto dai tifosi.
Christian Panucci è la tenacia, la volontà, la determinazione. E' un calciatore risorto proprio quando lo davano per finito.
Christian Panucci mi ricorda un campione.

La Tragedia Degli Uomini Ridicoli


Sensazioni gustosissime si succedono rapidamente quando si affronta l'Inter. Prima la vittoria nella giornata campale dello scudetto nerazzurro, poi una partita come quella di oggi. Lo slogan di una famosa pubblicità recita "Ci sono cose che non hanno prezzo" e potrebbe essere il giusto titolo di questa finale di andata della Coppa Italia. Mi sembra inutile parlare della gara, elencandone lati buoni e meno buoni. Dopo una vittoria per 6 a 2 c'è poco da dire. Anche dopo una sconfitta per 6 a 2 ci sarebbe poco da dire, se solo il perdente in questione non fosse un interista. Colui che stravince, che asfalta gli avversari, che domina la Champions League, che umilia la solita rometta formato Coppa Italia. Di fatto, in questa stagione che volge al termine l'Inter ha vinto uno scudetto in un campionato in cui non avrebbe potuto fallire nemmeno con un handicap di partenza. Ripeto che parlare della gara di oggi pomeriggio è poco interessante, prima di tutto perché è stata strana: Roma lanciatissima, uno-due-tre micidiale, respiro dell'Inter grazie ad un errore di Pizarro e poi niente altro se non i gol dei giallorossi in stato di grazia mentre l'undici nerazzurro girava a vuoto. Ci sta, è una di quelle partite che se le rigiochi cento volte avrai sempre un risultato diverso e meno pesante. Epperò. Se non si può parlare del confronto e del risultato perché ha poco senso e perché comunque c'è ancora un ritorno da disputare, che spero sia infuocato e non disonorevole, allora si può parlare di ciò che c'è dopo, delle dichiarazioni e delle frasi lette ed ascoltate.
Per esempio si può sottolineare l'atteggiamento del buon Roberto Mancini, che dopo aver riabbottonato i polsini della camicia e fatto riposare il viso rosso più di rabbia che di lampade, ha rilasciato nel suo stile misurato e mai presuntuoso le seguenti parole: "Alla fine penso che a fare la differenza siano stati l'approccio e le motivazioni (...) l'Inter ha vinto lo scudetto ed è solo questo ciò che resterà". Insomma, alla fine della fiera, sia lui sia i suoi campionissimi sono arrivati in finale tanto per perdere tempo e della Coppa non gliene frega una benemerita mazza. Luciano Spalletti, dal canto suo, ha detto invece con calma olimpica: "Non è ancora fatta". Ora, o qualcuno insegna a Mancini come dovrebbe comportarsi un vero allenatore di calcio, oppure siamo destinati ad avere un ibrido tra Capello e Mourinho, con la differenza che questi ultimi due hanno un tantinello di visibilità e di importanza in più. Mancini non solo riesce sempre ad infilare in una sconfitta una giustificazione priva di stile (e di senso della realtà), non solo si contraddice (alla vigilia del match aveva detto "La Coppa sarà la nostra ciliegina sulla torta"), ma dà la stura al profluvio di commenti dei suoi tifosi a metà tra il represso e lo scatenato, in rete e per le strade, ovviamente in piena sintonia con le sue maniere da vero sportivo.
Si inizia da reazioni che ricalcano la favola della volpe e dell'uva. "Tanto la Coppa Italia non vale niente, abbiamo lasciato vincere la rometta". Prima considerazione: l'Inter ha vinto le ultime due edizioni e quest'anno è arrivata in finale, il tutto condito da un irresistibile mix di gioia e superbia. Un bizzarro andamento per chi non ci tiene. Seconda considerazione: la rometta potrà alzare il trofeo a San Siro o potrà essere rimontata, ma resta il fatto che ha fatto sei gol alla squadra campione d'Italia, che a detta dei suoi sostenitori ha iniziato una marcia trionfale. Se perdi sei a due contro una buona Roma forse ci può stare l'onore delle armi, ma se perdi sei a due contro la rometta allora ti dai la zappa sui piedi e devi stare zitto in ginocchio sui ceci. Terza considerazione: tra i tantissimi tifosi che criticano Totti per le sue controverse vicende in chiave azzurra, ci sono gli interisti che portano a modello i beniamini Materazzi e Grosso - e basta, poiché i restanti sono tutti stranieri. Bene. Ma quando questi beniamini non onorano il secondo titolo calcistico del nostro paese, spalleggiati dai propri supporter che ne snobbano il valore, chi è meno rispettoso riguardo l'Italia e lo sport? Sia chiaro, a me non frega nulla delle menate patriottiche, ma un po' di coerenza non guasterebbe, in discorsi simili. Insomma, come la si vuol mettere, la scusante appare inaccettabile.
Ma la sagra delle "mani avanti" non si esaurisce qui. Altro pretesto formidabile è "Faceva caldo, l'Inter è stata penalizzata". Effettivamente a Milano e a Roma la situazione climatica non è proprio la stessa, ma dal momento che non stiamo parlando di differenza tra Norvegia ed Egitto forse sarebbe il caso di essere leggermente meno creativi.
L'ultima ragione addotta è la classica "Ci mancavano dei giocatori". D'accordissimo, mancavano due pedine fondamentali come Ibrahimovic e Cambiasso. Ma non è l'Inter che ha due o tre squadre di campioni? Non è l'Inter che ha dei fuoriclasse assoluti in tutti i reparti? Oppure bisogna dire che l'Inter dipende, al pari della Roma, da qualche elemento? Io non lo so. E' chiaro che Ibra è il valore aggiunto nella formazione titolare, tuttavia con i se e con i ma non si va lontano. Sarebbe veramente avvilente per i nerazzurri pensare che la potenza della squadra sia ridotta al lumicino a causa delle assenze dei singoli. Pure questa, dunque, è insulsa e risibile, quando perdi con quattro reti di scarto e firmi un record negativo che resta negli almanacchi.
La triste, scomoda verità è che l'Inter ha certamente beccato la giornataccia e che, contemporaneamente, non possiede né il carattere né la mentalità né la coscienza della grande squadra. Tutto ciò si palesa nella disciplina dei calciatori, nei discorsi dell'allenatore, nelle uscite dei tifosi, che spesso agiscono come dei bambini viziati; finché io faccio i miei comodi va bene, se li fai tu non ci sto e ti picchio o piango e strepito, tanto ho i miei genitori e i miei amici che mi difendono. La logica è questa. Non è solo per via del destino cinico e baro che ogni anno viene pagato un dazio alla situazione paradossale, all'imprevisto curioso, al risultato deludente, al pubblico ludibrio, all'umiliazione sfacciata.
Per il resto si deve ancora giocare un ritorno che potrà andare in due modi. Uno vedrà la Beneamata arrembante, decisa a ribaltare il risultato e ci sarà da stare attenti perché la Roma non è nuova agli scivoloni. L'altro la vedrà arrendevole, senza molti titolari, a fare presenza per salvare il salvabile. In entrambi i casi gli interisti avranno pronto un ragionamento facile, un motivo fantasioso o un teorema imperfetto per cercare una magra soddisfazione. Se la vinceranno, la Coppa tornerà incredibilmente ad essere una conquista prestigiosa di cui vantarsi; se la perderanno, al contrario si sentiranno dei furbacchioni per non aver sprecato delle preziose energie. E' questo ciò che resterà. Si accettano scommesse.

giovedì 3 maggio 2007

Diavoli rossi. E neri.



Dev'essere una bellissima sensazione. Nessuno che scommette su di te e tu che fai piazza pulita di un anno di polemiche così, in una serata, con una prestazione che definire magistrale è poco. Non resta molto da commentare. E' il Milan. Antipatie, rancori, l'arroganza di Galliani, l'onnipresenza di Berlusconi, il caso Meani. Tutto questo passa in secondo piano fino a dissolversi, se si parla di calcio giocato.
Il Diavolo di quest'anno è partito malissimo, non solo per la penalizzazione, ma anche per la scarsa fiducia che riponeva nei propri mezzi. Un portiere troppo sbadato, una difesa in età avanzata, con evidenti vuoti di memoria, un centrocampo a fasi alterne, un attacco orfano del suo nome migliore, Shevchenko. Ma appunto, il pallone non è solo un fatto di nomi. E' la pazienza di Carletto Ancelotti, pressato tra giornalisti che vogliono insegnargli il mestiere, un presidente che dopo le sconfitte dà le formazioni e un pubblico che lo aspetta al varco. Io me lo ricordo, Ancelotti, quando giocava. Silenzioso, tranquillo, un centrocampista di grande sostanza e grande classe, due caratteristiche difficili da mettere insieme in un calciatore solo. Me lo ricordo, quando andava in giro con le stampelle per colpa dei quei maledetti infortuni alle ginocchia. Me lo ricordo pure quando con un tiro da fuori area bucò la rete, alla faccia di quelli che lo definivano un gregario timido. Bisognerebbe stare attenti alle parole che si adoperano. Una persona poco loquace, poco incline ai proclami, quasi schiva, non è una persona senza carattere. Anche da allenatore c'è chi continua a contestarlo, a metterlo in dubbio, a farlo sentire sempre sul filo del rasoio. Be', Carletto li ha zittiti tutti, ancora una volta, ammirando sornione dalla panchina il trionfo suo e dei suoi calciatori. Il pallone è la carica di Gattuso. Uno che fino a qualche tempo fa io pensavo fosse un macellaio, perché da stolto scambiavo la grinta con la scorrettezza. E invece no, invece Gattuso ha lo spirito e la statura del giocatore di calcio vero, quello che suda, che si incazza, che ha la costanza per migliorare perché qualcuno gli dice che ha i piedi fucilati, che pensa al gruppo e lo tiene unito incitando i compagni continuamente manco fosse un ultras. Il pallone è la genialità di Kakà, stile sopraffino, palla appiccicata al piede, un occhio alla porta e uno all'attaccante da mandare in gol. Il celebratissimo Cristiano Ronaldo ieri non ha solo perso una partita, ha perso un confronto importante ed ha visto con i suoi occhi come è fatto un campione da vicino. Uno come Kakà, che quando ti punta non si perde nei giochini da foca ammaestrata, ma mira all'essenziale per sé e per il collettivo, deve far meditare i presunti intenditori che si sdilinquiscono di fronte alle piroette delle ballerine. Il pallone è anche la concentrazione di Alberto Gilardino, uno che come seconda punta al Verona era considerato meno di Bonazzoli, che al Parma diventa una stella e va sugli scudi, che al Milan viene sminuito perché ha fatto "solamente" 17 gol l'anno scorso e 12 quest'anno in campionato. Uno che appena può ci mette la firma, quando si tratta di gol pesanti (e spesso anche belli), ma dato che non è Shevchenko allora è giusto che si becchi le critiche e stia silente.
Ieri il Milan ha dato scuola agli inglesi di Manchester e ad un sacco di italiani persi nei pronostici e nei ciechi elogi dei Red Devils e della Premiership. Ha ribadito la sua dimensione internazionale e questo conta più di ogni altra riflessione. Se vai avanti in Champions League sei una grande squadra. L'avevo già scritto in precedenza, l'aria che si respira in alta quota è diversa da quella di pianura. Giocare negli stadi europei, affrontare avversari prestigiosi, magari vincere e dare spettacolo; quello che si semina si raccoglie, non esistono telefonate ambigue né scambi di favori ed è un'altra storia rispetto al chiacchiericcio del campionato. E' la differenza che passa tra una bella gita fuori porta e una splendida vacanza, che so, in Australia. Per questo i milanisti possono essere doppiamente contenti. Perché il Manchester pensava di fare una gitarella senza accorgersi di aver preso l'aereo per l'Australia e perché l'anno dell'Inter è stato già cancellato dalla stagione del Milan.

mercoledì 2 maggio 2007

La quiete dopo la quiete


Anche quest'anno i centottanta minuti del derby sono passati. Felici i laziali per i due risultati utili su tre conquistati, un po' meno contenti i romanisti che avrebbero voluto almeno una vittoria. Invece è stato 0-0, dopo una gara non eccessivamente bella né intensa. A mio avviso, non si è assistito ad una brutta partita, ma è vero, non si può neanche dire che sia stato un derby memorabile. Purtroppo sono da rilevare le solite polemiche becere, in un calcio che ormai non si accontenta più soltanto di denigrare l'avversario, ma fa dello scontro di civiltà alla casereccia il suo leit motiv.
Come tristemente accade da qualche tempo a questa parte, fuori dell'Olimpico ci sono stati un paio di accoltellamenti, anche se di lieve entità. Fin qui, la miccia. La carica l'ha piazzata il prefetto Achille Serra, che dopo la partita ha parlato di un derby tranquillo. Via con il balletto dello sdegno ipocrita dalle altre parti d'Italia: si è andati dalla "normale" inciviltà dei romani alla disperata invocazione delle dimissioni di Serra, reo di aver minimizzato l'accaduto. Personalmente, non ce la faccio a schierarmi con il prefetto di Roma. Resta pur sempre un tutore dell'ordine, uno pronto a dire tutto e il contrario di tutto per difendere l'operato suo e della celere. Però non posso nemmeno unirmi al coro unanime dei benpensanti, che ricordano quei pazzi che girano in tondo durante l'ora d'aria al manicomio perché qualcuno gli ha detto che bisogna farlo. E' vero, queste storie di "lame" e "puncicate" hanno oltrepassato la misura. Non si potrebbe negarlo neanche volendo. Io sono uno di quei vecchi nostalgici che vorrebbe sì un calcio sereno per famiglie, ma che, di fronte al caos odierno, quasi rimpiange le mazzate a mani nude di una volta tra tifoserie cosiddette nemiche. Due schiaffi, un calcione, quattro insulti e fughe alla spicciolata; si ripeteva un rito pluriennale, violento e prevedibile. Oggi abbiamo curve contrapposte che fanno fronte comune davanti alla polizia, e ragazzini armati di coltello che ti spuntano all'improvviso da dietro e ti pungono culo e gambe - quando va bene - come se nulla fosse. E' decisamente deplorevole, specie se si pensa che questi episodi all'arma bianca si verificano in massima parte a Roma, con protagonisti i giallorossi. Comincio a sopportare poco anche la retorica oramai vieta e insensata che recita ad ogni occasione che gli accoltellatori "non sono veri tifosi, ma un branco di delinquenti". Sul fatto che siano delinquenti, niente da obiettare. Sul fatto che non siano tifosi, qualche parolina dovremmo spenderla, se è vero come è vero che proprio questi delinquenti poi vanno puntualmente allo stadio, trasferte comprese. Qualcuno dirà che ci vanno solo con l'intenzione di far male, ma non si può davvero pensare di nasconderne l'appartenenza calcistica. Quindi, mea culpa. Ma non basta.
Non basta perché chi accusa molto spesso non è in grado di insegnare niente, sia che si tratti di commentatori televisivi che urlano e schiamazzano come oche da cortile, sia che si tratti di semplici tifosi di altre città sprovvisti di serie argomentazioni. Torniamo alle spiegazioni rilassate del prefetto Serra e alle reazioni inorridite della brava gente. Non entro nel vissuto privato perché non lo conosco e perché dovrei dilungarmi troppo su ciò che penso di certi soggetti. Tuttavia, vorrei sapere che razza di individui sono questi, che riescono a prendersela perfino con un funzionario di alto livello pur di sottolineare con la penna rossa gli avvenimenti romani. Sono gli stessi che parlano di tifoserie civili al Nord, scordandosi casualmente di petardi internazionali, motorini nazionali e razzismi vari. Sono gli stessi che vogliono leggi ferree, poliziotti a iosa, controlli capillari e stadi ultrasicuri, e poi si scagliano contro prefetti, questori e governi che impongono misure di sicurezza. Sono gli stessi che osannano il modello inglese con relativa calma apparente e restrizioni da lager, e poi non vogliono provvedimenti che attentano alla loro libertà di cittadini onesti. Sono gli stessi che dopo la morte di Raciti hanno indossato idealmente scudo e manganello, e poi hanno difeso gli hooligans mancuniani a Roma attaccando la brutalità della polizia italiana. Insomma, sono quelli del pugno duro e della galera a vita, per tutti tranne che per loro e per i tifosi vicini: chiacchieroni e cialtroni da mercatino delle pulci.
Il prefetto Serra, come detto, non ha il mio appoggio incondizionato, tuttavia non è possibile contestare i lati buoni del suo lavoro. Instaurare un clima che non è di complicità ma guarda al concreto, cioè ai fatti veramente gravi, e non crea inutili allarmismi è encomiabile. Dei prefetti e dei questori delle altre città si sa poco e niente; dei responsabili della sicurezza in alcuni stadi a rischio non si conoscono né il nome né i metodi, fatte salve le dichiarazioni di facciata in concomitanza di accadimenti luttuosi. Serra, com'è giusto che sia, ci mette sempre la faccia, convoca conferenze stampa, fornisce spiegazioni. Conosce il mondo degli ultras e da guardia navigata quale è, sa distinguere i gradi di tensione, i livelli dello scontro, il pericoloso dall'ordinario. Poi sappiamo tutti che i sistemi dei celerini non sono né civili né ortodossi, ma è un altro discorso.
Non avrei mai pensato di poter scrivere cose come queste, eppure mi viene spontaneo quando osservo le bestialità di Mediaset che dopo il derby non parla della gara ma degli incidenti, quando vedo le file di pecore che non aspettano nient'altro che di poter levare il loro belato irritante verso la capitale, quando ascolto le piccole menti piagnucolare come bambini dell'asilo che incolpano i compagni. E forse sono proprio bambini, visto che parlano di stadio ma se ne stanno in poltrona a guardare la tv, pensando di conoscere gli ultras perché hanno un conoscente che va ogni tanto in curva. Tutte le domeniche (o i sabati o i mercoledì...), succede qualcosa fuori e dentro gli impianti sportivi. A volte se ne parla perché fa comodo, perché se si gioca un derby noioso allora meglio creare un caso e buttarsi sulla finta cronaca nera. Roma-Lazio fa rumore, anche perché si porta dietro lo psicodramma collettivo della sospensione del marzo 2004 dovuta ad una voce infondata. E' un po' come quando arrivò il Livorno in serie A e tutte le telecamere vennero puntate sulle esternazioni politiche dei tifosi amaranto. Si ha la notiziola, la si dilata, si monta il caso per un periodo, fino a che non appare qualcosa di più succulento. In serie B e in serie C si contano feriti a grappoli, ma finché non ci scappa il morto non interessano nessuno.
Due accoltellati sono un fatto gravissimo, da condannare. Ma da condannare è soprattutto la non-cultura che c'è dietro, quella del furbo e del vile che la fa franca. E' un modo di pensare che investe tutto il paese; ditemi voi se si può fare una scelta tra chi usa un coltello a Roma e scappa e trenta persone che pestano un ragazzo fino ad ucciderlo a Milano e vengono assolte. Non si può, non si deve. Come non si può e non si deve parlare a sproposito, approfittando di un evento riprovevole per lanciare la solita secchiata di merda contro questa o quella città. Chi lo fa non vale niente e merita unicamente disprezzo.
Per finire, vorrei parlare di calcio giocato. Al di là delle polemiche e delle rivalità. Angelo Peruzzi ha annunciato il proprio ritiro, a 37 anni. Che dire, da romanista non è che consideri Peruzzi un grande esempio di simpatia. Forse dovrei ritenerlo anche scorretto e mercenario. Però sarebbe ingiusto e irragionevole essere indifferenti di fronte al campione che è stato e che ancora è. Peruzzi ha sempre raccolto poco, rispetto a ciò che ha dimostrato. La stampa e la tv lo hanno definito un bravo portiere senza mai andare oltre, senza mai tributargli le lodi che invece avrebbe avuto diritto di ricevere. Un fisico massiccio, quasi tozzo, ed una velocità tra i pali che nessun altro possiede. Un senso della posizione raro da trovare, la capacità di vedere la palla all'ultimo secondo e di distendersi fulmineo. E quella presa incredibile, a volte con una sola mano, come se avesse una calamita sui guanti. Una carriera costellata dagli infortuni senza i piagnistei e le lacrime tipiche di chi deve catalizzare l'attenzione su di sé. Peruzzi non è stato un bravo portiere, è stato un fuoriclasse; si parla troppo di mezzepunte e di attaccanti, si parla troppo di Buffon, dimenticando "Il Gatto" che non ha mai perso l'istinto.