lunedì 12 novembre 2007

E QUANDO INVECE NON C'E' PIU' UN CAZZO

CIAO GABRIELE!



Troppe cose da dire, da pensare, da urlare.
Voglio ricordare solo alcune frasi. Amato "E' stato un tragico errore". Il questore di Arezzo "Ci dispiace anzitutto perché è stato coinvolto un collega", "Sono stati sparati due colpi in aria", "Uno in aria e l'altro forse ad un'altezza differente".
BASTA! ANNATE AFFANCULO!
Voi e la polizia, la PUBBLICA SICUREZZA, i tutori dell'ordine.

Se questo è ordine, dateci il caos.

martedì 6 novembre 2007

Quando il calcio non c'e' piu'


Addio Barone.

domenica 4 novembre 2007

Volevamo vince ma...

Tutti siamo un po' allenatori.
Tutti siamo un po' calciatori, fenomeni, fuoriclasse.
Tutti avremmo segnato valanghe di gol in campionato, se ne avessimo avuto l'occasione. Avremmo deliziato gli spettatori con i nostri colpi di tacco, i rapidi uno-due, i sombreri, le rabone, le rovesciate, i doppi passi e i numeri al volo da calcio tedesco.
Si sa che il tifoso quando vede il proprio centravanti sbagliare una rete facile, dice subito "Potevano chiamare me, era un gol che avrei fatto ad occhi chiusi".
Ecco. Di norma la presunzione dei tifosi è questa, cioè il voler considerare alcuni giocatori di serie A come degli scarsi, cosa che in realtà non è vera. Il calciatore meno tecnico, più macchinoso e lento che milita in serie A ha un repertorio che noi abituati ai campetti sotto casa, ai prati e alle piccole polisportive nemmeno immaginiamo. Ricordo che vidi Tommasi palleggiare in allenamento e faceva delle cose assurde, da restare a bocca aperta. Tuttavia nessuno ricorda Damiano Tommasi come un calciatore tecnico, capace di palleggi infiniti e di dribbling che incantano.
A volte, però, il tifoso non ha tutti i torti. E quando vede Mirko Vucinic, che negli ultimi giorni è stato idolatrato, sbagliare tre gol che "anche io avrei segnato", si incazza di brutto. Se poi la Roma è quella che gioca contro l'Empoli, vince 2-0 alla fine del primo tempo e dà l'impressione di poter stracciare l'avversario, allora il giudizio diventa anche più aspro.
La Roma pareggia 2-2 contro un Empoli che è poca cosa, ma ce l'ha messa tutta per agguantare il pareggio dopo il doppio svantaggio. I toscani non hanno assolutamente fatto una gara di forcing disperato; niente arrembaggi, niente disordine come si potrebbe credere senza aver visto quello che è successo. Nel secondo tempo hanno semplicemente giocato a calcio, costringendo la Roma a chiudersi e ad aspettare una qualche, difficile, ripartenza. Qualcosa c'è stato, infatti. Ma quando hai uno a cui tremano i piedi perché si trova solo davanti ad un portiere piazzato male, allora la palla è persa e l'occasione è sfumata prima ancora che parta il tiro.
Per me la foto di questa partita non sta né nel 2-1 di Vannucchi, bellissimo e preciso da fuori area, né nella punizione di Giovinco che, casuale o magistrale, taglia prima l'aria, poi l'area e infine arriva dritta come una freccia sotto al sette di un Doni farfallone.
Sta nella fiacchezza di Vucinic, sugli scudi dopo tre partite ed oggi inguardabile, lento e svogliato, autore di tre cazzate micidiali che hanno permesso all'Empoli di restare sempre in gara.
Ma anche se poi il montenegrino sbaglia dei gol fatti, gli altri non è che si sono comportati da campioni che vorrebbero vincere lo scudetto. Cicinho alterna prestazioni ottime a timide corsette su e giù per la fascia, Pizarro corre e fa girare la palla, la tiene e detta i tempi ma pecca di presunzione con dei lanci fuori misura, Mancini (che però oggi ha giocato bene e, udite udite, da capitano) ubriaca tutti con le sue finte ma stringi stringi ha l'effetto sterile della foca del circo. Giuly fa il suo e segna pure il primo gol, però a volte sparisce dal campo e alla fine non ti ricordi neanche se è uscito.
Juan lo salvo perché leva talmente tante castagne dal fuoco che ci si potrebbe riempire un centinaio di sacchi, Ferrari ha acquistato personalità ma ogni tanto ritorna moscio e pauroso come due anni fa. Brighi ha disputato un primo tempo da incorniciare, come dicono gli esperti, e ha anche segnato un gol da incursore; ma nel secondo tempo è scomparso. Perrotta idem, che trotta e si danna l'anima ma è impreciso e se gli viene un numero in stile derby pare un mostro mentre se non gli viene sembra impedito da qualche strana legge gravitazionale.
Questa Roma, costruita per essere l'antagonista dell'Inter, in realtà sta tribolando più della Fiorentina, una bella squadra che, con la consueta umiltà, Prandelli sta portando sempre più in alto. E chissà che il testimone del gran gioco giallorosso non passi quest'anno ai viola, che vincono e convincono, non straparlano di trofei e vittorie, non creano casi e non si sentono padreterni.
E' un peccato, perché la Roma stava dimostrato di non essere Totti-dipendente, cosa che in effetti sembra evidente per la fluidità del gioco e per la coralità delle azioni. Al massimo sembra Taddei-dipendente, uno che ha tre polmoni, può risolverti la partita e zitto zitto torna sempre utilissimo nel meccanismo di Spalletti.
La Roma ha il suo grande limite nella spocchia inspiegabile. Nella mentalità e nella coscienza di essere una grande squadra, pensiero che ti fortifica quando di fronte hai avversari temibili ma ti riempie di debolezza quando invece ti trovi con gente che ha fame e non molla. Non è il non sapere vincere con le piccole, no. E' l'equilibrio, il saper gestire i palloni, i vantaggi, l'essere cattivi quando se ne ha l'opportunità e l'essere saggi quando ci si accorge di avere meno energia.
Purtroppo ho l'impressione che questa sia la costante della stagione. Andare ad Empoli per vincere nei novanta minuti ed accontentarsi dei primi quarantacinque.

venerdì 2 novembre 2007

Un Tuffo Nel Presente


C'è poco da dire sul derby di andata 2007-08.
La Roma vince 3-2, la Lazio giochicchia ma non sa mettere paura.
Vucinic continua a fare la prima punta e non è un caso che abbia segnato il terzo gol di seguito nella terza partita giocata nella sua posizione. Avevo scritto che la pazienza stava per finire; sono stato smentito, grazie al cielo. Il montenegrino però si rende protagonista non solo nell'occasione del momentaneo 1 a 1, ma soprattutto quando dà una palla eccezionale a Perrotta che fa il "sombrero" su Ballotta e insacca a porta vuota: 3-1.
Ora, chiunque a questo punto avrebbe voluto vedere la Roma dilagare. Era nelle possibilità, hai voglia a sentire le cazzate di quelli che guardano il finale e ti dicono "Ma c'è solo un gol di scarto". La Lazio si è intimorita, la difesa non esisteva più, il centrocampo girava e correva quasi a vuoto, l'attacco era scarico. Ci ha pensato la Roma, tirando il freno a mano e concedendo una punizione dal limite che Ledesma ha messo dentro (a dire la verità anche molto bene). Poi il buio, la partita si è ammosciata. Il possesso palla è stato forse più biancoceleste che giallorosso fino al 90°, tuttavia non si è più visto un tiro in porta né un'azione pericolosa.
Ecco, se proprio devo dirla tutta, da pignolo, avrei voluto qualcosa in più.
Non esagero se dico che la Lazio è la squadra più scarsa incontrata dalla Roma finora, in questo campionato. Per fortuna loro esistono delle attenuanti: mancavano due titolari come Mauri e Behrami, la situazione psicologica rasenta ormai la depressione, il pubblico odia apertamente Lotito e comincia a mugugnare su Delio Rossi. Ma non voglio parlare della Lazio.
Voglio parlare della Roma e di questa prudenza inattesa; la smania di controllare la gara, la cautela di Spalletti che leva un buon Mancini. Mi piace la squadra che non si specchia nella propria bellezza e butta la palla alle ortiche quando ce n'è bisogno. Ma ce n'era proprio bisogno, sul 3 a 1? O forse si poteva ottenere qualche cosetta di più? Vabbè, i giocatori non ragionano come i tifosi, a loro non importa niente delle dichiarazioni post-partita.
Onestamente non importa molto nemmeno a me, è piuttosto chiaro chi è che deve abbassare le orecchie e guardare per terra questa settimana, come tante altre settimane del passato, come nella normalità delle cose. Ormai ai laziali è rimasto il pensiero di Manchester. E questo la dice lunga sulla loro condizione; non solo si rifanno grazie ad un'altra squadra, per di più straniera, ma continuano con un risultato del passato. E' il passato che li perseguita: il 1900, le origini, i loro miti di una volta scomparsi rapidamente, i presidenti che non ci sono più, le sconfitte sonanti della Roma, i derby giocati prima di questo. Bene così.
I romanisti guardano già avanti, hanno speranze e magari, sì, illusioni, ma illusioni grandiose. E anche questo derby viene messo in archivio come gli altri, nonostante la vittoria "striminzita".
Una nota assolutamente triste, per cambiare leggermente discorso, viene dai cosiddetti provvedimenti antiviolenza, grazie ai quali il derby di Roma, famoso per le bellissime coreografie e gli striscioni di ogni genere, è diventato incolore, grigio, sciapo.
Se c'era una partita nella partita, questa si giocava proprio tra le curve. Mercoledì niente. Che cazzo di norma antiviolenza è quella di vietare una coreografia? Chi resta ferito con un disegno, con il colore della propria squadra, con lo sfottò? Il marito si è tagliato le palle per non dare soddisfazione alla moglie, insomma. Che tristezza.
Ci consolano i tuffi di Delio Rossi, che piano piano si trasformano in cadute libere.